IL LINGUAGGIO COSMICO
Di Melina Scalise
Pensiamo a quanto nel ‘900 l’invenzione o scoperta dell’inconscio e l’applicazione della psicoanalisi abbiano rivoluzionato il modo di pensare la vita di tutti i giorni. L’arte si è fatta espressione di questo importante cambiamento manifestandosi in sempre più nuove forme espressive che l’hanno portata sempre più lontano dalla raffigurazione della realtà e sempre più vicino alla rappresentazione del pensiero. Le opere di Max Ernst, Jackson Pollock e Joseph Beuys ne sono un esempio. Ognuno dei loro capolavori oggi racconta quanto il ‘900 abbia sviluppato nuovi modi di vedere, pensare e rappresentare il mondo, tanto che l’arte, fino a pochi anni fa, sembrava essere destinata ad essere solo nell’eccesso, nella provocazione, nell’alterazione ed esaltazione della liberazione dagli schemi formali.
Nella seconda metà del ‘900, tra gli anni ‘80 e ’90 quando si costruivano i primi computer e diffondevano i primi cellulari, l’artista Mario De Leo intuisce la rivoluzione del nuovo Millennio. La sua attenzione si sposta dall’inconscio e dall’uomo verso la macchina o meglio l’apparecchio elettronico e ne scopre un comune denominatore: il linguaggio.
Il circuito elettrico diventa per lui oggetto primario di ispirazione ed esplorazione. L’artista comincia a utilizzare frammenti di circuiti nei suoi quadri e nelle sue sculture. Ogni parte elettronica viene da lui selezionata e scomposta per definire dei moduli ripetitivi il cui insieme allude a un linguaggio molto simile ai riferimenti compositivi della musica, di cui lui è cultore, e lo porta al concetto di “linguaggio cosmico”. Intere città/scultura vengono da lui costruite con materiale di scarto elettronico a sottolineare quanto oggi sia intriso di connessioni e metalinguaggi l’abitare domestico. La figura amazzonica da cui era partito con la sua prima pittura, è una figura femminile stilizzata, primitiva, madre/tecnologica rappresentata da segni scomposti in modo picassiano. In essa non si celebra la simultaneità e la sfaccettatura dell’essere tipica del cubismo, quanto la forza comunicativa del suo corpo diventato tecnologico e capace di essere uno e multiplo. Questa è la madre di una nuova era. A seguire Mario sviluppa una pittura sempre più materica dove pone sulla tela saldature e piccoli frammenti elettrici. Elabora una serie di opere dove piccole sezioni elettroniche saldate imitano le forme delle note musicali e si compongono come su uno spartito dando vita al ciclo: “lettere cosmiche”. L’artista intuisce quanto nell’elettronica sia insito il seme di una nuova lingua capace di viaggiare nello spazio, nel tempo e nel cosmo. Una lingua universale e un mondo universale: il Web.
Ma per l’artista Mario De Leo il mondo non è nella scatola di un computer o di un cellulare, bensì nella forma primordiale di comunicazione tra il vicino e il lontano: il cono. Ed ecco che dalla complessità si torna all’essenzialità. Nei suoi quadri materici applica e disegna spesso questo strumento. Quando è tridimensionale si tratta di un semplice foglio di carta arrotolato a forma di cono colato nell’oro. Per l’artista esso rappresenta l’elemento aureo dell’alchimista del nuovo Millennio: il cono è ciò che unisce il maschile e il femminile, che convoglia e amplifica i suoni, il canale di comunicazione tra il microcosmo e il macrocosmo. In questo strumento primordiale di “comunicazione amplificata” c’è forse per Mario De Leo il seme della storia del mondo ovvero il bisogno di condividere o semplicemente di non “sentirsi” soli. “Sento dunque sono” potrebbe dire un nuovo Cartesio.
In 30 anni di lavoro l’opera di Mario De Leo è un capolavoro di racconto della rivoluzione di questo nuovo Millennio e solo oggi che viviamo l’era della comunicazione via internet possiamo comprenderne la forza. Forse è l’unico artista al mondo ad aver costruito, su questa intuizione, un’intera produzione artistica capace di tradurre, in un linguaggio semplice e intuitivo, la complessità dell’era contemporanea.
Milano, 5 marzo 2016